Passato prossimo
“Quanta fadiga, quanta tera c’ò voltà col sapon su e zo per el sandon a l’ò sgualivaà, scariolà, e quante secie pine d’riso c’ò somnà tute a man in meso a l’aqua e al paltan. A tornavo a cà tuto infangà, am’lavava al fosso con aqua e saon, e a tolevo la scala par andar sul stabià, a ciapavo pileta e pilon e po in tél cason a pilavo fin caiera ora d’magnare, alora a sentiva ciamare: Upà, upà l’è mezdì. E poi i me diseva i me fiò: Vieni a magnar i riso e fasò”
LA VITA IN RISARA di Berto Boscolo Morosini
Quanto sforzo / quanta terra ho girato con la zappa / su e giù per il “sandon” (pezzo di terreno risicolo) / l’ho livellata, scarriolata (trasportato con la carriola), / e quanti secchi pieni di riso / ho seminato, tutti a mano / in mezzo all’acqua e al pantano. / Tornavo a casa tutto sporco di fango, / mi lavavo al fosso con acqua e sapone / e prendevo la scala per andare sullo “stabià” (rialzo in legno ad uso ripostiglio) / acchiappavo pileta e pilon, poi nel casone / pilavo fino a quando arrivava l’ora di pranzo, / allora sentivo chiamare: / – Papà, papà, è mezzogiorno! / E poi i miei figli mi dicevano: / – Vieni a mangiare i risi e fagioli.
La coltivazione del riso
Il grande fabbisogno d’acqua che richiede la coltivazione del riso, impone profonde modifiche del territorio. Dopo che il terreno è stato spianato, vengono innalzati intorno ad esso degli arginelli, con altri all’interno, così da dividerlo in una serie di bacini, detti anche “pezze”, solcati di tanto in tanto con dei fossi irrigatori. Alle due estremità vengono contrapposti due canali, ogni bacino deve essere munito di una piccola chiavica per l’entrata dell’acqua e di una seconda chiavica per il deflusso; in questo modo, alzando o chiudendo manualmente le saracinesche, si riesce a regolarne l’irrigazione.
Ecco, qui sta la vera caratteristica della coltivazione, questo dare o togliere l’acqua periodicamente cui i nostri padri avevano a disposizione solo le loro braccia.
Dalla fine di aprile si svolge la semina: il bacino precedentemente lavorato, mediante aratura e livellatura, viene ricoperto di circa 10-15 centimetri d’acqua e dopo 2-4 giorni seminato. Trascorse un paio di settimane la risaia viene prosciugata per consentire alla piantina di radicarsi più profondamente e per ossigenare il terreno. Passano circa 7-8 giorni prima che venga rimessa l’acqua, in quantità tale da far emergere solo le foglie più alte della piantina, ed innalzando progressivamente il livello man mano che la pianta cresce, per fermarsi alla fine ai soliti 10-15 centimetri. Alla fine di agosto, quando il riso arriva a maturazione, l’acqua viene tolta definitivamente e dopo due settimane inizia la raccolta.
Come si pescava
Dal racconto di un pescatore del luogo:
“A fine ‘800 la pesca veniva esercitata alle origini esclusivamente presso le foci del Po e nelle lagune, perché non c’erano mezzi adatti per affrontare il mare. I pescatori si dedicavano essenzialmente alla cattura delle anguille, la specie di maggior pregio, pescate in quantità ragguardevoli nonostante le povere attrezzature a disposizione. Il pescato veniva poi portato al mercato ittico di Chioggia con piccole imbarcazioni a remi, le “batane”, trainandosi dietro le “marote”, ceste contenenti le anguille immerse nell’acqua. Con le dovute soste e con i pernottamenti che il tragitto comportava, i pescatori facevano ritorno non prima di 15 giorni, se tutto andava bene, considerando le avversità naturali. Più tardi, ci si rivolgerà anche verso il mercato ittico di Goro, dimezzando le distanze. La Commercializzazione resterà comunque un problema che frenerà il settore della pesca ancora per molti anni.
La ferma era il tipico sistema per la cattura dei “bisati” (anguille) praticato dalle compagnie di pesca.
Per pescare con maggiore profitto, si formano le compagnie di pesca ed erano in genere costituite da parentadi di 20, 30, 40 persone e anche oltre. Il gruppo doveva essere molto affiatato e per questo la scelta della compagnia di appartenenza era soprattutto legata a simpatie, interessi e parentele; si doveva vivere insieme giorno e notte per mesi e quindi era fondamentale l’affiatamento tra i partecipanti. Questa forma di pesca, considerata la più redditizia tra quelle presenti nel Delta, iniziava a settembre e finiva a Natale, coincideva cioè con il periodo nel quale le anguille ritornavano al mare. Si usavano reti fisse, disposte in modo da condurre le anguille verso trappole dalle quali non potevano più uscire. Per dormire erano utilizzati casoni di canna come quello ancora esistente a Scano Boa. Si tornava a casa soltanto una volta alla settimana, ma uno del gruppo, ogni giorno, si portava in terraferma per vendere il pescato.”
In una postazione multi-touch, al centro della sala, è possibile la visione di alcune brevi sequenze tratte dal film “Scano Boa” di Renato Dall’Ara, dedicate alla pesca dello storione.
Per approfondimenti sono disponibili presso la Biblioteca Comunale di Porto Tolle i volumi “Là dove il Po incontra il mare” e “LA PESACA LA VITA 70 anni di Delta Padano” di Damiano Laurenti.
Il Polesine nel cinema
Il Cinema è sempre stato attratto dagli scenari e dalle genti del delta del Po. Questa passione per le acque, i lembi di sabbia, le piane dell’ampio Delta è testimoniata in oltre 500 tra film, documentari e serie tv, girati dai più grandi registi fra i quali Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Alberto Lattuada, Mario Soldati, Pupi Avati, Ermanno Olmi e Carlo Mazzacurati.
Un pannello e una postazione multi-touch della sala sono dedicati all’arte cinematografica e mostrano una selezione di immagini e sequenze video di tre film girati in epoche diverse in questi luoghi.
Nives, bella e fiera ragazza, lavora con altre donne alla marinatura delle anguille nelle valli di Comacchio, mantenendosi onesta. Durante una festa da ballo si scatena un po’ di confusione per l’intemperanza di alcuni giovinastri: ne approfitta Gino, sorvegliante delle donne, contrabbandiere e uno dei più assidui corteggiatori di Nives, che sottrae la fanciulla impaurita al disordine della festa e riesce a vincere la sua resistenza. Nives diventa la sua amante, ma Gino non vuole legami stabili e l’abbandona dopo un paio di giorni, anche perché, essendo ricercato dalla polizia, è costretto a fuggire. Più tardi Nives va in cerca di Gino per avvertirlo che la guardia di finanza lo sta cercando e dirgli che aspetta un bambino. Gino, egoista e cinico, la offende e la respinge: Nives per vendicarsi lo denuncia e lui viene arrestato, processato e condannato per contrabbando. Passano due anni: Nives ha dato alla luce un bambino e lavora per poterlo crescere sano ed onesto. Ha lasciato Comacchio e taglia canne sul delta padano. Enzo Cinti, una guardia di palude, suo innamorato respinto, arriva per avvertirla che Gino è evaso dalla prigione e metterla in guardia. Egli tenta ancora una volta di baciare Nives, ma lei lo respinge energicamente. Enzo si è fatto accompagnare da Ivana, una ragazza incaricata di sorvegliare i bimbi delle donne che lavorano, tra i quali c’è Tonino, il figlio di Nives. Il bimbo, lasciato solo, s’allontana, cade in acqua e affoga. Durante la veglia funebre della desolata madre sopraggiunge Gino con propositi di vendetta; ma nel corso della notte ha una crisi. Dopo essersi costituito, ottiene dai carabinieri il permesso di accompagnare al cimitero la salma del bambino; sulla soglia del cimitero promette a Nives che, scontata la pena, la sposerà.
ll film è ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto nel 1954. La storia si svolge nel delta del Po, alle foci. Dopo dieci anni d’assenza, il padre di Clara (Carla Gravina) torna con la figlia nel suo paese e si stabilisce a Scano Boa, un povero borgo di pescatori. I nuovi venuti destano il malanimo degli abitanti, i quali non esitano ad attribuire loro la causa di ogni disgrazia, soprattutto quella del mancato arrivo degli storioni, il prelibato pesce sulla cui cattura poggiano le speranze di tutti. Intanto Clara subisce la violenza di un bellimbusto del paese, Baroncello (José Suárez), ma tace. Quando i grossi pesci compaiono nelle acque di Scano, tutti gli uomini accorrono. Il padre di Clara, inesperto e schivato da tutti, finisce coll’annegare. Durante il funerale la fanciulla dà alla luce un bimbo e Baroncello decide di sposarla.
Concadalbero, Veneto: nel piccolo centro agricolo giunge la giovane maestra Mara, di passaggio in attesa di trasferirsi in Brasile. Bella e anticonformista, attrae le attenzioni di molti uomini del paese. Tra questi Giovanni, aspirante giornalista, che le dà una mano per accedere ad internet. Nei suoi mesi di permanenza, Mara impara a conoscere gli abitanti del paese e avrà una breve relazione con Hassan, un meccanico tunisino perfettamente integrato nella comunità. Mentre Giovanni scrive i primi pezzi di cronaca locale, Mara viene ritrovata morta. Hassan viene accusato dell’omicidio e le prove lo inchiodano. Giovanni, molto colpito dalla vicenda e incapace di mantenere la “giusta distanza” dagli avvenimenti (come gli ricorda il suo mentore Bencivegna), non indaga a fondo: infatuato di Mara, come quasi tutti nel paese, era stato infatti testimone della breve relazione fra la ragazza e Hassan, di cui era amico. Tempo dopo, Hassan si uccide in cella e lascia un biglietto in cui si professa innocente. La sorella dell’uomo consegna il biglietto a Giovanni, che ormai lavora a tempo pieno nella redazione del giornale: il giovane si mette così alla ricerca di indizi tra i documenti del processo e scopre ben presto che ci sono state gravi lacune da parte dell’avvocato difensore (nessun controllo delle telefonate, per esempio). Grazie ad un amico, rintraccia le ultime chiamate ricevute da Mara, e scopre che una di esse era di Guido, l’autista di autobus del paese. La sera dell’omicidio, dopo il suo addio al celibato, Guido era andato a trovare Mara e, dopo aver cercato di violentarla, l’aveva involontariamente uccisa durante una colluttazione. Smascherato da Giovanni, Guido confessa e viene incarcerato: mentre il giovane si trasferisce a Milano per intraprendere a tempo pieno l’attività di giornalista, si apprende che nella piccola comunità il suo atto, pur tardivo, non era stato affatto gradito. L’innocente Hassan era infatti un comodo alibi per tutti, come lo era stato per l’avvocato che, solo in apparenza, l’aveva difeso.
Novembre 1966: alluvione nell’Isola della Donzella
Nei giorni precedenti al 4 novembre 1966 il Delta del Po era stato interessato da condizioni metereologiche particolari ed eccezionali con una sfortunata unione di piena del Po e vento di scirocco. Una violenta mareggiata interessò l’alto Adriatico facendo cedere a Porto Tolle le arginature di protezione. Le acque del mare si riversarono nelle valli adiacenti e poi invasero l’intera isola della Donzella dove sorge Ca’ Tiepolo sede del municipio del Comune di Porto Tolle.
Era il 4 novembre 1966 quando una violenta mareggiata causò la rottura dell’argine di difesa nella Sacca di Scardovari. Dalla falla entrarono le acque del mare, che in poco tempo allagarono quasi tutta l’isola della Donzella, arrivando in alcuni punti anche a quattro metri di altezza. Scardovari e Bonelli resistevano ancora all’impetuosa marea, grazie alla seppur esile arginatura di “Giarette”, posta fra il Po delle Tolle e la Sacca, costantemente rinforzata giorno e notte dagli abitanti assieme al personale del Genio Civile e dai militari.
Purtroppo, nel momento in cui aleggiava un certo ottimismo arrivò un forte vento di bora a vanificare tutto. Nella notte tra il 16 e il 17, il rinfrangersi delle onde contro l’argine provocò l’inevitabile cedimento. Con l’avanzare della marea, la popolazione di Scardovari e Bonelli venne fatta sfollare a Polesine Camerini con i mezzi militari; da qui lungo il Po, a bordo dei traghetti del Battaglione San Marco, raggiunse il paese di Ca’ Zuliani, dove prese posto sui pullman e camion militari che l’avrebbe condotta nei centri di raccolta di Rovigo, Bologna, Mantova e Verona.
Nei primi giorni di dicembre sono conclusi i lavori di chiusura della falla e di rifacimento del terrapieno ceduto nella Sacca di Scardovari. Subito dopo è iniziato lo svuotamento dell’invaso dell’isola della Donzella e nel giro di tre mesi l’intero territorio è stato bonificato.
Nel marzo 1967 le persone poterono iniziare a tornare ai loro villaggi e alle loro case.